11.09.2001.Indimenticabile. Possiamo non ricordare chi compie gli anni oggi o quello che abbiamo mangiato ieri a pranzo, ma nessuno potrà mai dimenticare quel giorno, che sconvolse gli animi in ogni angolo del mondo. Potrebbe sembrare strano ma tutti ricordiamo perfettamente dove eravamo e cosa stavamo facendo nel momento in cui i due aerei, uno dopo l’altro, alla distanza di 17 minuti, si abbatterono contro le Twin Towers a New York. Io ero a casa con mia sorella, avevamo finito da poco di pranzare e guardavamo allegramente un po’ di TV. Improvvisamente la trasmissione si interruppe. Nero. Muto. Ciò che avvenne dopo è storia. Edizione straordinaria. I tg si affrettarono ad andare in onda, ma nessuno capiva effettivamente. In diretta, arrivò la notizia del secondo aereo che si schiantò sulla seconda torre. Ci guardammo, increduli. Le immagini scorrevano, drammatiche, inesorabili. In silenzio e attoniti non staccavamo gli occhi da quell’apparecchio da cui solitamente venivamo rapiti da cartoni, film o partite. Impossibile non cogliere la disperazione di quelle persone. Dalle finestre e dai tetti, padri e madri di famiglia, che chiedevano aiuto e che si gettavano giù pur di non morire tra le fiamme. Assurdo. Come assurda fu la decisione della UEFA di giocare ugualmente. Quella sera infatti, come da calendario, era in programma la prima giornata della Champions League 2001/02. Le italiane in campo erano la Roma (in casa contro il Real Madrid) e la Lazio (a Istanbul contro il Galatasaray). Ebbene sì, la sera dell’11 settembre 2001, con il mondo sotto shock, la UEFA obbligò i club a scendere in campo per disputare le gare in programma. Mentre le due torri si accartocciavano su se stesse come legna che, inesorabile, brucia nel camino, una giornata di Champions League, indotto economico annesso, sarebbe dovuta passare in secondo piano. Invece, quell’11 settembre 2001, il giorno che ha cambiato per sempre il nostro modo di vivere, è stato anche il giorno in cui il calcio perse una grandissima occasione per mostrare la propria sensibilità nei confronti del mondo. Il presidente della Roma dell’epoca Franco Sensi dichiarò di non voler giocare. Vincenzo Montella, attaccante della Roma e Fabio Capello, allenatore della squadra capitolina, nelle dichiarazioni del dopo-partita provarono a spiegare anche la poca valenza della sconfitta per 1-2 a confronto: “Ero convinto che non avremmo giocato e questo era anche il pensiero dei ragazzi. Sarebbe stato più giusto dare un segnale al mondo intero. Non si poteva trattare di una festa, siamo scesi in campo portandoci dietro un peso grosso come un macigno”.
Ed un “peso grosso come un macigno” lo portiamo tutti, ancor oggi, dopo 19 anni. Che arduo compito abbiamo, il compito di raccontare ai nostri figli ed ai nostri nipoti cosa videro i nostri occhi. Che triste compito abbiamo, quello di raccontare la miseria umana. Morirono persone, innocenti, che nulla avevano a che fare con il motivo di quell’orribile gesto, morirono persone che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il giorno dopo, finalmente, la UEFA rinviò le partite in programma, tra cui Porto-Juventus. Una decisione tardiva e maldestra, che rese ancora più evidente il fatto che non fosse possibile, quella sera, parlare di calcio. 11 settembre 2001: il giorno in cui il mondo si fermò, il calcio no. Straziante!